Data: 30/04/2014 - Anno: 20 - Numero: 1 - Pagina: 19 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
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AUTORE: Antonio Tropiano (Altri articoli dell'autore)
Sono gi trascorsi venti anni da quando un adolescenziale e goliardico viaggio nelle terre iberiche ebbe il duplice merito di mostrarmi le meraviglie della Spagna e, cosa ancora pi illuminante per il mio destino, di iniziarmi alla licenziosa esperienza dei Carmina Burana. Fu cos che una sera per dissetare la giovanile sete entrai in una stamberga di Toledo; la luce era rada per il fumo e lantica polvere sui lumi, ma tanto bast perch io leggessi sul soffitto un motto che a lungo avrebbe abitato la mia acerba fantasia In taberna quando sumus, non curamus quid sit humus (pi o meno quando siamo in osteria non pensiamo a quando saremo polvere). Neanche io ci pensai quella sera, e per molte sere ancora. Sono gi trascorsi venti anni e tanti ne sono serviti perch riandando adesso con la memoria allumbratile sentenza, io mi accorgessi che quegli scanzonati pellegrini (Dioniso li abbia in gloria!) non intendessero affatto sfidare la morte sollevando dei calici, quanto piuttosto sospenderne il pensiero fintanto che la vita non avesse compiuto la sua mirabolante trasformazione. S, perch l che il vino, simbolo della vita, e la morte si scrutano di rimpetto con guardinga noncuranza, l nello spazio sacrale della metamorfosi. Vi scrivo questo quando, con eterna gratitudine a Google Immagini, tengo sotto gli occhi un quadro di E. Munch dal titolo Il giorno dopo: per i pigri di mouse, devo dirvi che ritrae una doviziosa fanciulla con la camicetta sbottonata, distesa su un letto col braccio e il crine penzolanti; le bottiglie sul tavolo suggeriscono limmediata diagnosi di una post-sbornia (che renderebbe onore al titolo), ma in realt c dellaltro ed quellaria immobile della donna che sembra sospesa (per lappunto) tra lesistere e il suo contrario, quasi una salma forse ancora vivente ferma, grazie al vino, nellattimo della mutazione. Ed ripensando alla lezione spagnola e alla corpulenza abbandonata del dipinto che mi ritornano in mente miriadi di sconnesse suggestioni e audaci rimandi, di cui senza alcun simulato ordine intendo farvi ignari confidenti. Ecco infatti riemergere la scena dei funerali di Patroclo col pietoso Achille che, secondo il rito, spegne il rogo su cui stato arso il corpo dellamico con purpureo vino, prima di raccoglierne le ceneri (per la verit mi viene in mente che anche nel Libro di Tobia si legge Mettete il vostro pane e il vostro vino sulla sepoltura del giusto). quindi la volta dello smodato Trimalcione (quanto somiglia al film di Sorrentino!) che per sentenziare sulla caducit della vita, inscena un teatrino per i suoi ospiti concludendo ahim, il vino vive ancora pi di noi, poveri omuncoli! Ma noi ci vendicheremo ingoiandolo tutto. Il vino vita. E pure morte! Direi. Pensate a Rosmunda che secondo la leggenda si vendic col marito Alboino, re dei Longobardi, per averla costretta a bere vino nel cranio di suo padre Cunimondo, sconfitto in battaglia (sapete che pure Lord Byron si fece cesellare una coppa simile col teschio di un monaco trovato nella sua propriet ora pro gustis!). C una quartina del genio persiano Omar Khayym che si chiude con Siedi sullerba bevendo/ limpidissimo vino/ ch questerba stessa un giorno/ spunter sulla tomba mia, e/ sulla tua. Ma la pi grande trasformazione che la morte aveva in serbo cominci con queste parole In verit io vi dico che non berr mai pi del frutto della vite fino al giorno in cui lo berr nuovo, nel regno di Dio (Mc, 14, 25). Parole di vino e di mortehai mai pensato in qualche notte dincubo di trasformare il vino in un sudario? chiedeva in Baudelaire un tizio che si era da poco sbarazzato della moglie; mentre un altro poeta dal nome bizzarro, al-Akh al, scriveva lebbrezza del vino uccide e fa rinascere: piacevole la morte che procura, ma ancor di pi lo la vita detto ci non mi resta che salutarvi, concedendomi unultima battuta, questa volta yiddish, che recita: polvere eravamo e polvere ritorneremo: frattanto c il tempo di farci qualche bicchiere . Alla prossima.
Movanzi nto vinu mi catta na farfalla e para chesta mbiaca e comabballa; cu tuttu chidu largu chi potia mi catta nto biccheri propria mia! Cu sapa si purida d si sturda oppure chidu mara non si gurda: magari jia cercandu mu simbrilla e u vacia versa morti cchi tranquilla? Ma sai mo chi ti dicu, a cacciu fora on vojju nto biccheri cca u mi mora, ca si fusseu nto mara chi maffundu gridassa Aiutu! u senta tuttu mundu, u vena ncunu jidutu mi pijja ca on vojju su mangimi pe na trijja. Pecchissu volatinda bella mia e non pijjara esempio propriu e mia. Pureu provai stu mara tempu fa, mi giru e mi rivotu e tornu d. (Un omaggio ad Hermann Hesse) Antonio Tropiano |